Il 19 aprile 2022 compie cinquant’anni una delle sentenze più emblematiche nel campo del diritto dell’ambiente internazionale: in quel giorno del 1972 i giudici della Corte Suprema degli Stati Uniti decisero le sorti della Mineral King Valley in Sierra Nevada, importante sito naturalistico di conservazione delle sequoie. Il caso nello specifico trattava di un progetto di costruzione di uno ski resort (foto 1) promosso dalla The Walt Disney Company, il quale richiedeva la realizzazione di un’autostrada nel Sequoia National Park oltre che ampi parcheggi e una linea elettrica diffusa. Questo progetto vide però la contrapposizione dell’associazione ambientalista Sierra Club, fondata dal celebre naturalista e scrittore John Muir, in quanto lamentava gli evidenti danni che si potevano creare all’integrità dell’ambiente, ritenendo di essere in diritto di citare in giudizio l’azienda proponente per salvaguardare l’interesse pubblico.
Tra i sette giudici della Corte Suprema chiamati ad esprimersi, quattro approvarono la prosecuzione del progetto rigettando così l’impugnazione, in quanto non era stato dimostrato nessun danno personale all’associazione contrapposta, dunque non legittimata a continuare l’azione. Ma, nonostante la sentenza finale, il caso suscitò grande interesse per il plateale dissenso del giudice William O. Douglas, il quale si pronunciò a favore dell’associazione ambientalista suggerendo la necessità di valutare le risorse naturali come possessori di personalità giuridica, legittimate dunque a citare in giudizio per la propria protezione.
Il dissenso
Il suo dissenso è diventato ormai celebre, per il valore precursore di tali teorie nonché per la poetica nell’esporre la sua opinione, elevabile ad apologia del patrimonio naturale. Si riporta di seguito l’intero dissenso:
Condivido il punto di vista di mio fratello (giudice) Blackmun e ribalterei la sentenza sottostante. La questione verrebbe semplificata e anche messa a fuoco in modo ordinato se modellassimo una norma federale che consentisse di discutere questioni ambientali dinanzi ad agenzie federali o tribunali federali in nome dell’oggetto inanimato che sta per essere depredato, deturpato o invaso da strade e bulldozer e dove il danno è oggetto di indignazione pubblica. La preoccupazione del pubblico contemporaneo per la protezione dell’equilibrio ecologico della natura dovrebbe portare al conferimento di una legittimazione agli oggetti ambientali a citare in giudizio per la propria conservazione. Questa causa sarebbe quindi più propriamente etichettata come Mineral King vs. Morton.
Gli oggetti inanimati sono a volte parti in controversie. Una nave ha una personalità giuridica, una finzione trovata utile per scopi marittimi. La corporazione unica – una creatura del diritto ecclesiastico – è un avversario accettabile e grandi fortune viaggiano sui suoi casi. La società ordinaria è una “persona” ai fini dei processi giudiziari, sia che essa rappresenta cause proprietarie, spirituali, estetiche o cause caritatevoli.
Così dovrebbe essere per quanto riguarda le valli, i prati alpini, fiumi, laghi, estuari, spiagge, creste, boschetti di alberi, paludi o anche l’aria che sente le pressioni distruttive della tecnologia e della vita moderna. Il fiume, per esempio, è il simbolo vivente di tutta la vita che sostiene o nutre – pesci, insetti acquatici, merli acquaioli, lontre, pescatori, cervi, alci, l’orso e tutti gli altri animali, compreso l’uomo, che dipendono da esso o che ne godono per la sua vista, il suo suono o la sua vita. Il fiume come attore parla per l’unità ecologica di vita che è parte di esso. Quelle persone che hanno una relazione significativa con quel corpo d’acqua – che sia essere un pescatore, un canoista, uno zoologo o un un boscaiolo – devono essere in grado di parlare per i valori che il fiume rappresenta e che sono minacciati di distruzione.
Mineral King è senza dubbio come altre meraviglie della Sierra Nevada come Tuolumne Meadows e il John Muir Trail. Coloro che camminano, pescano, cacciano, si accampano in esso, lo frequentano, o lo visitano semplicemente per sedersi in solitudine sono legittimi portavoce di esso, che siano pochi o molti. Coloro che hanno quell’intima relazione con l’oggetto inanimato che sta per essere ferito, inquinato o altrimenti depredato sono i suoi legittimi portavoce.
La voce dell’oggetto inanimato, quindi, non dovrebbe essere fermata. Questo non significa che il potere giudiziario prenda le funzioni manageriali dell’agenzia federale. Significa semplicemente che prima che questi inestimabili pezzi d’America (come una valle, un un prato alpino, un fiume o un lago) siano per sempre perduti o siano così trasformati da essere ridotti alle eventuali macerie del nostro ambiente urbano, la voce degli attuali beneficiari di queste meraviglie ambientali dovrebbe essere ascoltata. Permettere a un tribunale di nominare un rappresentante di un oggetto inanimato non sarebbe significativamente diverso dalle consuete nomine giudiziarie di tutori ad litem, esecutori, conservatori, curatori, o consiglieri per gli indigenti.
Forse non vinceranno. Forse i bulldozer del “progresso” solcheranno tutte le meraviglie estetiche di questa bellissima terra. Questa non è la domanda attuale. L’unica domanda è: chi deve essere ascoltato?
Coloro che percorrono l’Appalachian Trail fino a Sunfish Pond, nel New Jersey, e si accampano o dormono lì, o corrono l’Allagash nel Maine, o scalano i Guadalupes nel Texas occidentale, o chi fa canoa nel Quetico Superior e nel Minnesota, certamente dovrebbe essere in grado di difendere quelle meraviglie naturali davanti a tribunali o agenzie, sebbene vivano a 3000 miglia di distanza. Coloro che sono semplicemente coinvolti nelle notizie o nella propaganda ambientale e si accalcano per difendere queste acque o aree possono essere trattati in modo diverso.
Ecco perché queste questioni ambientali dovrebbero essere offerte dall’oggetto inanimato stesso. Poi ci saranno certezze che tutte le forme di vita che rappresenta staranno davanti alla corte: il picchio pileato così come il coyote e l’orso, i lemming così come la trota nei ruscelli. Quei membri inarticolati del gruppo ecologico non possono parlare. Ma quelle persone che hanno talmente frequentato il luogo da conoscerne i valori e le meraviglie potranno parlare per l’intera comunità ecologica. Questo, a mio avviso, è il problema dell’impugnazione nel presente caso e nella controversia.
L’alba dell’ecocentrismo
Così, nello stesso decennio in cui si veniva a formare la nozione giuridica di ambiente a livello internazionale, il giudice statunitense si espresse sull’impellenza di destrutturare la visione antropocentrica del diritto, dove l’ambiente viene trattato come oggetto “esterno” alla comunità umana, consentendo all’uomo di elevarsi a unico soggetto di diritto, senza alcun dovere morale di co-evoluzione con l’ecosistema, bensì interpretandolo in sua unica funzione. In tal caso è bene ricordare nello stesso anno anche il giurista statunitense Christopher D. Stone (foto 2), il quale sosteneva il diritto degli elementi naturali ad essere riconosciuti come persona giuridica, in quanto <<dignità a se stante e non solo per servire come un mezzo per beneficiare “noi”>>. In una delle sue opere più importanti evidenziava l’assurdità di riconoscere soggetti di diritto le società di capitali oppure le navi, ossia esseri inanimati ma solo funzionali per l’uomo, anziché le entità viventi come gli elementi naturali. Di conseguenza, Stone propose che anche i beni naturali potessero godere di una simile forma di tutela, attraverso l’introduzione della figura del guardian, riconoscendo così la natura come portatrice di interessi.
La sentenza in questione ha sollevato inoltre per la prima volta l’importante tema della rappresentatività diffusa: sebbene nel corso degli anni si è avuta un evoluzione circa il diritto da parte di associazioni nazionali a rappresentare un interesse pubblico, lo stesso non vale per le piccole realtà e comunità in viscerale simbiosi con il territorio da tutelare. Viene meno, dunque, la legittimità di essere portavoce a “coloro che camminano, pescano, lo frequentano o lo visitano semplicemente per sedersi in solitudine“, ben più consapevoli dei rischi e danni cagionati alla propria realtà locale rispetto alle grandi organizzazioni scollegate dai micro-territori. Come si può, allora, tutelare ogni scrigno di biodiversità se viene meno il riconoscimento delle piccole comunità ecologiche?
Nell’ultimo decennio in diverse aree extra-europee quali Nuova Zelanda, India e America Latina elementi naturali quali fiumi, montagne e ghiacciai stanno assumendo la qualifica di persona giuridica, dopo lunghe battaglie legali promosse dalle comunità locali legate storicamente alle relative risorse naturali. Stiamo assistendo così a una “rivoluzione giurisprudenziale”, un fenomeno giuridico dalle connotazioni globali: la natura sta acquisendo lo status di soggetto di diritto e il giurista è chiamato a includere la biodiversità nella comunità degli attori nel diritto, avviando il processo di deantropizzazione verso una prospettiva ecocentrica. È dunque la vittoria della “comunità ecosistemica”, si transita verso l’inclusione della natura nella sfera degli individui meritevoli di considerazione giuridica, dove la comunità assume il ruolo di “guardiano” responsabile di essa e considera la natura e le sue risorse come entità escluse dalla mera logica dell’appropriazione e del mercato.
Fabrizio Gerardo Lioy