Il 3 marzo 1944 a Balvano, si è consumato il più grave disastro ferroviario italiano di tutti i tempi: 500 morti secondo le stime ufficiali. Molte vittime non furono neppure riconosciute, non ci fu cerimonia religiosa e furono sepolte nel vicino paese di Balvano in quattro fosse comuni.
Il luogo
Tra Romagnano al Monte e Balvano è la natura selvaggia a farla da padrona. Tra i due centri si inabissa la strettissima valle del fiume Platano, quasi a ricordare al viaggiatore che si trova a passare di lì che oltre vi sono luoghi freddi e difficilmente raggiungibili.
La disagevolezza dell’area è direttamente proporzionale alla bellezza e all’alto tasso di naturalità, minato qua e là da sporadiche zone industriali e pozzi petroliferi disseminati in regione più a sud.
Basta arrivare in treno per rendersi conto dell’eccezionalità dei luoghi.
Il treno transita proprio per la vertiginosa valle del fiume Platano, collega l’area del Salernitano alla provincia di Potenza per la via geograficamente più ovvia perché più breve. Il paesaggio che si mostra supera l’immaginazione per bellezza e imprevedibilità: area prevalentemente carsica, i rilievi si calano a picco dentro quella che più che una valle pare una forra, con boschi fitti tipici delle zone piedimontane appenniniche, con prevalenza di roverella e altri tipi di quercia e con ricca presenza di leccio, cerro, biancospino, acero, robinia ecc.
La cronaca
La cronaca racconta che sul treno erano presenti molti abusivi dell’area campana, che stremati dalla guerra, speravano di acquistare delle derrate alimentari in cambio di caffè e sigarette distribuiti dagli statunitensi. Furono fatti scendere alla stazione di Eboli molti sprovvisti del biglietto, così si salvarono dall’imminente sciagura.
Per l’eccessiva umidità le ruote del treno cominciarono a slittare, si ridusse la velocità del convoglio fin a fermarsi a soli 800 metri dall’uscita della galleria “Delle Armi” lunga in totale 2 km scarsi. Vi era già un alto tasso di concentrazione di monossido di carbonio causato dal passaggio sulla stessa tratta di un altro treno. Gli sforzi per riprendere la marcia del treno fermatosi produssero ulteriore monossido di carbonio, che fecero repentinamente perdere i sensi al personale di macchina. Fulmineamente, anche la stragrande maggioranza dei passeggeri perse i sensi.
L’ultimo e fatale errore dei conducenti del convoglio: avanti si sforzarono per continuare nella stessa direzione, mentre nella macchina posteriore invertirono la marcia.
Il frenatore del carro di coda e il manovratore del penultimo – gli unici ancora fuori dalla galleria – constatarono che il treno fermo stava tornando in retromarcia. Come da regolamento, azionarono il freno di sicurezza bloccando letteralmente il treno.
Furono loro che a piedi si resero conto della disgrazia e del numero dei morti. All’arrivo dei soccorsi, si salvarono 90 vite umane che presentavano sintomi di intossicazione. La giornata poco ventosa, l’umidità eccessiva, il peso del convoglio e i mancati controlli del personale di ferrovia sul numero di passeggeri furono le cause scatenanti del dramma. Peraltro, il treno aveva due locomotive di testa, invece che una di testa e una di coda.
Un’ulteriore concausa fu la scarsa qualità del carbone fornito dal Comando Militare Alleato, dall’alta percentuale di zolfo. Durante la combustione, produceva solfuro di carbonile, letale per la salute umana. Mancava, in ultima analisi, un efficiente drenaggio dei fumi sicché all’apertura della bocca di lupo i gas ritornavano in cabina piuttosto che uscire. La capacità di trazione calò notevolmente sino a impedire alla macchina di uscire dalla galleria.
L’esito dell’accaduto fu al dir poco severo, numeri alla mano, ma quella ferrovia è ancora lì dimenticata al pari delle sue province che attraversa.
Michelangelo Sabatiello
Fonti
Gianluca Barneschi, Balvano 1944. Indagine su un disastro rimosso, LEG Edizioni, 2014.
Articoli dei quotidiani dell’epoca reperiti online.