Quando un lucano si trasferisce porta con sé due cose (oltre al pacco di 5 kg preparato da mamma, s’intende): la nostalgia di casa e i peperoni cruschi. Custodisce entrambi con cura per giorni e giorni, prima di consumarli. Rimanda il più possibile quello che predice essere il più eroico pranzo domenicale: quello in cui nel momento stesso in cui si sublima l’estasi della croccantezza, subito essa si scioglie in un profondo senso di vuoto e d’abbandono. Ecco perché appena ho visto il mio ultimo crusco gettato nell’umido senza pietà, come un rifiuto organico qualunque, ho gentilmente chiesto delle spiegazioni ai miei coinquilini. Per “gentilmente” intendo a luci spente e con il peperone puntato alla gola. Ed ecco perché alla serena e ingenua risposta “sembrava andato a male”, ho deciso di onorarlo, raccontando ai suddetti coinquilini (e a tutti) cos’è il peperone crusco.
Dalle Antille alla Basilicata
Il peperone, come ben sappiamo, è un ortaggio di origine americana, arrivato in Europa sulle caravelle di Colombo, stivato tra le patate, i pomodori, il cacao e tutto il resto. Furono poi gli Spagnoli, che lo importavano dalle Antille, a introdurlo a Senise tra il XV e il XVII secolo. Da lì si diffuse in tutta la regione, così da essere oggi coltivato in molti altri paesi lucani, tra cui Chiaromonte, Valsinni, Colobraro, Senise, Francavilla in Sinni, Carbone, Tursi, Noepoli, San Giorgio, Sant’Arcangelo, Craco, Roccanova, Montalbano Jonico.
Il peperone di Senise, un prodotto I.G.P.
Non tutti i peperoni, però, sono uguali. Quello di Senise è rosso intenso, con forma conica e lunghezza massima di 15 cm: somiglia a un peperoncino, ma non lo è. Ha un sapore dolce e contiene un’alta percentuale di vitamina C. Nel 1996 ha ottenuto dall’Unione Europea il marchio di Indicazione Geografica Tipica.
Se poi diventa crusco…
Ma che significa peperone crusco? In dialetto è Zafaran’ Crusk. L’assonanza col termine zafferano è probabilmente dovuta all’abitudine di ridurre il peperone in polvere e di usarlo per aromatizzare i salumi, come fosse una spezia. Crusco non indica una varietà: significa semplicemente croccante, perché è così che esso diventa una volta essiccato e fritto.
Coltivazione e preparazione
Ecco il percorso che porta un umile peperone a scrocchiare sotto i denti di un lucano: la semina avviene in primavera, la raccolta più o meno ad agosto. Una volta raccolto, per tre giorni è conservato al buio coperto da teli. Solo a questo punto, con lo spago si cominciano a realizzare le cosiddette serte (nserte in dialetto), cioè delle collane con cui i peperoni vengono appesi ai balconi all’aria aperta e al sole, non proprio alla luce diretta, per dare avvio all’essiccazione. Questa fase si conclude quando la percentuale di acqua presente all’interno degli ortaggi, che è già molto bassa, arriva intorno al 10%.
Come si mangiano?
Dopo averli puliti con un panno, si immergono in olio bollente per pochi secondi. Il momento giusto per toglierli dalla fiamma è quando iniziano a gonfiarsi: solo così sono davvero croccanti. A questo punto, puoi sgranocchiarli subito oppure decidere di assaporarli con le tipiche ricette lucane, abbinati alla pasta di casa o al baccalà.
(Ma su questo non dico altro, potete venire ad assaggiarli in Basilicata, magari al nostro Rifugio!)
Maria Rosaria Cella
Foto di Holden.
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