Al pellegrino che s’affaccia ai suoi valichi, / a chi scende per la stretta degli Alburni / o fa il cammino delle pecore lungo le coste della Serra, / al nibbio che rompe il filo dell’orizzonte / con un rettile negli artigli, all’emigrante, al soldato, / a chi torna dai santuari o dall’esilio, a chi dorme / negli ovili, al pastore, al mezzadro, al mercante / la Lucania apre le sue lande, / le sue valli dove i fiumi scorrono lenti / come fiumi di polvere. […]
Lucania, Leonardo Sinisgalli
In Lucania i fiumi sono coperti di polvere. Come il tempo, la fatica e gli amori.
In Lucania i fiumi scorrono lenti. Lasciano che i sogni continuino a sgorgare dalla sorgente. Trascinano a valle le cose viste, fatte e sentite. Solcano le terre con ferite profonde e riversano nel mare il passato. L’acqua è indispensabile per sperare nel futuro e liberarsi del passato.
È per questo che lo stemma lucano non ha teste d’aquila o cime appenniniche, ma quattro onde azzurre, una per ciascuno dei quattro fiumi maggiori che bagnano la regione: Bradano, Basento, Agri e Sinni. Esso fu scelto, vincendo sulle altre due proposte della Commissione (una catena di monti e le Tavole Palatine), con la legge regionale del 1973, la quale stabiliva: “Lo stemma della Regione Basilicata è costituito da una fascia di quattro onde di azzurro in campo argento”.
Senza fiumi, il Sud non avrebbe mai conosciuto la mescolanza di culture, lingue, genti e merci tra Oriente e Occidente. O perlomeno, lo scambio non sarebbe avanzato molto oltre le coste, arrestandosi alle prime catene montuose. Nell’antichità, almeno fino al Medioevo, i fiumi lucani erano navigabili ed erano quindi usati come vie di comunicazione e trasporto, esattamente come i sentieri su terra. In questo modo, l’Oriente arrivò in paesi come Vaglio, Aliano, Roccanova e molti altri.
I quattro fiumi dello stemma sfociano nello Ionio.
Il Bradano è il primo per ampiezza del suo bacino idrografico (2.765 km²) e nasce nel territorio di Avigliano, da quel monte Carmine meta di pellegrinaggi, in virtù del santuario dedicato all’omonima Madonna. Passando per Acerenza e costeggiando per alcuni km la linea ferroviaria Bari-Potenza, raggiunge la provincia di Matera fino alla piana di Metaponto, dove si fonde col mare.
Il Basento, invece, a regime pluviale, scorre per 149 km ed è quindi il più lungo della Basilicata. Le sue sponde squarciano il capoluogo lucano, specialmente nell’area industriale, e sono tenute insieme dal celebre ponte riconosciuto dal MIBACT come opera d’arte, cioè quello progettato dall’ingegnere Sergio Musmeci.
Non lontano dalla sorgente del Basento, c’è quella dell’Agri, tra il monte Maruggio e Serra di Calvello. Raggiunge poi Montemurro, il paese natale di quel Sinisgalli poeta-ingegnere che vedeva il suo fiume denso come polvere: quasi una premonizione, se guardiamo com’è diventata da alcuni l’acqua dell’annessa diga del Pertusillo (ogni riferimento è puramente non casuale).
Il Sinni, il più ricco d’acqua insieme all’Agri e a regime torrentizio, sgorga dai fianchi orientali del massiccio del Sirino, a 1380 m s.l.m., e taglia quasi orizzontalmente la Basilicata meridionale. Nella sua valle dormiva un tempo l’antica Favale, il cui nome significherebbe proprio “terra ricca di sorgenti”, rinominata Valsinni nel 1873 e casa della poetessa Isabella Morra.
Tra gli altri corsi d’acqua, ne cito alcuni sperando che gli altri non si offendano: il Cavone riempie il vuoto tra i quattro grandi e arriva anch’esso nel golfo di Taranto; l’Ofanto cantato da Orazio, sfrutta la Lucania solo come terra di passaggio per arrivare al suo vero obiettivo, l’Adriatico; infine, solitario verso il Tirreno, si dirige il Noce.
In Lucania i fiumi scorrono lenti e sono fatti di polvere… come i sentieri.
Maria Rosaria Cella