Si è conclusa il 25 novembre 2018 la Sedicesima Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia, che ha ospitato anche la Basilicata. La nostra regione figurava nel padiglione “Arcipelago Italia. Progetti per il futuro dei territori interni del Paese”, incentrato sui territori spazialmente e temporalmente lontani dalle grandi aree urbane, nella convinzione che il rilancio di tale inestimabile patrimonio culturale possa rigenerare l’intero Paese.
Lungo l’itinerario “Sub-appennino Dauno, Alta Murgia, Salento”, eccola: la Piazza degli Emigranti di Montemilone, nella sua nuova veste progettata dall’architetto Felice Cavuoto.
Montemilone è un piccolo paesino della Basilicata nord-orientale, al confine con la Puglia, in cui vivono poco più di 1500 abitanti. Benché vantasse una storia risalente ai romani ed un centro storico di epoca medievale, a seguito di superficiali interventi urbani “Piazza degli Emigranti” era diventata un non luogo, uno spazio sterile, privo di identità e relazioni, all’occorrenza sfruttato come parcheggio.
L’intervento avvenuto nel 2016 – ci spiega l’architetto Cavuoto – ha puntato alla ridefinizione del sito, cercando di riutilizzare, dove possibile, i muretti o le panchine preesistenti, per connettere fisicamente e spazialmente la facciata della chiesa di Santo Stefano e il murale con la piazza antistante.
Sulla piazza si affacciavano infatti monumenti, il cui valore era offuscato dal vuoto antistante: la chiesa di Santo Stefano, la Casa Canonica, la facciata laterale di un palazzo signorile dell’Ottocento (che ospita un murale realizzato nel 1985) e altre abitazioni, defraudate di qualsivoglia indizio di identità. Ora invece la piazza non è più un vuoto chiuso, ma risulta direttamente collegata alla scalinata della chiesa.
I diversi materiali usati, – uno per ogni nuova funzione rivestita dallo spazio – dalla pietra di Minervino al porfido, sono stati posati senza soluzione di continuità, sì da uniformare i dislivelli e insinuare percezioni visive prive della pure apparente fissità. Più precise le parole dell’architetto: Il progetto rifugge dall’idea di ricorrere all’uso di soluzioni tipiche dell’arredo urbano (panchine, fioriere, muri di contenimento, lampioni) e assegna alla sola pavimentazione il compito di modellare plasticamente l’insieme, in modo tale che le diverse parti che lo compongono non appaiono quali corpi aggiunti, ma emergono dalla materia come increspature.
Il progetto realizzato a Montemilone conferma la possibilità tangibile di creare un’osmosi tra un passato lento e un futuro in corsa, che non danneggi i valori e le identità. Un’osmosi che, al contrario, riesca a colmare i vuoti degli spazi e delle anime attraverso lo stupore di nuove forme di aggregazione, anche nei posti dimenticati da Cristo.
Foto di Guido Cozzi.
Maria Rosaria Cella